MICHELE ALASSIO

Sacks 2003

Oliver Sacks divide le patologie neurologiche che descrive nei suoi racconti in due categorie apparentemente opposte: deficit ed eccessi. Il deficit è inteso come la mancata funzionalità di una parte del nostro patrimonio intellettivo o motorio, l’eccesso come un’ iperattività incontrollabile del medesimo meccanismo sensoriale. Dei deficit fanno parte le agnosie di qualsiasi natura, dell’eccesso tutte le patologie caratterizzate da un’incontinenza.
Dai volumi di Oliver Sacks ho selezionato, inizialmente, 10 casi clinici:

  • “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”
  • “Il marinaio perduto”
  • “La disincarnata”
  • “Fantasmi”
  • “Il discorso del presidente”
  • “Il cane sotto alla pelle”
  • “Omicidio”
  • “Vedere e non vedere”
  • “Emicrania”
  • “Il melomane enciclopedico”

All’inizio pensavo di cercare un’immagine per ogni racconto, ma approfondendo i testi ho compreso che, pur apparentemente diverse, le patologie descritte avevano molti punti in comune e così, se in alcuni casi l’immagine interpreta un singolo caso, in altri si relaziona indifferentemente a più racconti. Il primo problema che ho incontrato è stato di natura filologica. Nella lettura e rilettura dei racconti sono state infinite le immagini suggeritemi dalla fantasia per dare forma al sentimento espresso di volta in volta, ma realizzare tali immagini avrebbe significato illustrare il racconto né più né meno di come potrebbe fare un pittore, e sovrapporre la mia immaginazione al sentimento che avvertivo.

Io credo che la fotografia debba prendere dall’esistente la sua anima, e che l’unico progetto che porta ad una fotografia deve essere intellettuale ed emotivo; qualsiasi immagine pensata, progettata e materialmente costruita per essere ripresa non è una fotografia ma un’installazione, non è un’idea ma la pubblicità di un’idea, non è un sentimento ma, al massimo, la sua rappresentazione.

Ora, però, l’istantaneità dello scatto riproduce il mezzo dei sentimenti, non i sentimenti; registra frammenti memorizzabili, non la memoria, perciò non ho utilizzato il negativo come sedimento irripetibile e immutabile di ciò che l’obiettivo inquadra, ma accettato il fatto che stavo costruendo un’immagine per sovrapposizioni cercando di rimanere emotivamente coinvolto in tutto il tempo necessario a creare l’immagine, prendendo gli accorgimenti tecnici per poter comporre un unico negativo con esposizioni ripetute cambiando obbiettivo, diaframmi, e tempi di otturazione a seconda di ciò che mi suggeriva la realtà.

Ho viaggiato con i miei frammenti di immagine impressionati nel negativo e con la suggestione del racconto nella mente e nel cuore, cercando di rammentare cosa avevo già impressionato, pronto a sovrapporre altre parti dell’immagine qualora riuscissi a sentirle e vederle.

Se sono uscite, indubitabilmente, delle fotografie.

Lo sono dal punto di vista tecnico e concettuale.

Ovviamente, del mio concetto di fotografia.

Michele Alassio, settembre 2003